Come gli Antichi Umbri regolavano le dispute
Augusto Ancillotti
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  • Gli Antichi Umbri non avevano leggi scritte, ma affidavano la risoluzione delle dispute a un ařbǫter, la persona che godeva della fiducia delle due parti in causa
  • Nel dare il suo giudizio questa persona doveva cercare la giusta misura, basandosi sul principio di equità
  • Non a caso il termine latino arbiter è l’adattamento del termine safino ařbǫtro attestato dalle Tavole Iguvine 

L’ařbǫter

I testi iguvini oltre alle disposizioni riguardanti i riti, ci forniscono importanti informazioni su antichissime e ben precise strutture civiche. 

Tra le funzioni istituzionali che sono citate nelle Tavole Iguvine e nelle poche altre iscrizioni umbre, ricordiamo il magistrato in capo o “promotore” (uhtur), il magistrato “curatore” (maron), il magistrato “che indica il giusto” (meddix), il responsabile della “confraternita” (fratreks), il princìpio del “giusto mezzo” (meřs), il sistema tributario (dekvias), la magistratura dell’“equidistanza” (ařputrati). 

In particolare appare significativa quest’ultima nozione: la scrittura ařputrati (con <p> che vale anche per <b>) rappresenta il derivato del nome ařbǫtro- (il cui nominativo suonerebbe ařbǫter). Per gli studi glottologici questa parola risulta dalla modificazione popolare di un originale *ambǫtro-, che continuerebbe l’indeuropeo *ambho-t(e)ro- (cfr. greco amphòteros). Vuol dire «quello di entrambi», nel senso di colui che è scelto da tutti e due i contendenti. 

È allora evidente che il termine latino arbiter (di etimologia incompresa) altro non è che l’adattamento del termine safino attestato dalle Tavole Iguvine. 

La funzione dell’ařbǫter, “arbitro”, in mancanza di leggi scritte, era quella di porsi come persona dotata della comune fiducia delle due parti. Doveva esprimersi quindi cercando il meřs/mers (< *med(o)s-), la misura” o “equità”. 

Questo termine, centrale nella cultura degli iguvini è confrontabile con il latino modes– contenuto nell’aggettivo modestus, “misurato, dotato di misura” e con modus “misura, regola”.  La ”aurea mediocritas” intesa come distanza da ogni estremo, l’ideale etico proclamato, secoli dopo, da Orazio nelle Odi e poi riaffermato nelle Satire con la notissima Est modus in rebus: nelle cose c’è una misura.

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