Le tavole iguvine
Federico Fioravanti
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  • Le Tavole Iuguvine sono sette tavole di bronzo conservate nel Palazzo dei Consoli di Gubbio
  • Giacomo Devoto ha definito le Tavole di Gubbio come il piรบ importante testo rituale di tutta lโ€™antichitร  classica
  • Nel 1456 il Comune di Gubbio pagรฒ 40 fiorini d’oro per acquistare le tavole dalla contadina di nome Presentina che le scoprรฌ 12 anni prima
  • Dalle lastre di bronzo si ricavano 11 testi che parlano di 9 argomenti. Per 7 facciate e mezza la grafia รจ etrusca, seppure adattata e per 4 facce e mezza รจ in grafia latina.

Le sette Tavole

Sette lastre di bronzo. Rettangolari. Diverse per peso e misure. Esposte una accanto allโ€™altra, in una sala del trecentesco Palazzo dei Consoli: sono le Tavole Eugubine, trovate per caso, secondo la tradizione, nel 1444 da una contadina, in un terreno adibito a pascolo delle pecore, nei pressi del Teatro Romano di Gubbio.

Un passo dellโ€™atto notarile, stilato nel 1456 al momento del loro acquisto da parte del Comune, descrive bene lo stupore che ancora oggi si prova di fronte agli antichi segni che corrono sul bronzo: ยซVariis literis scriptas latinis et segretisยป. ยซLettere diverse, sia latine che misterioseยป.ย 

Il senso delle 4365 parole incise sul metallo rimase infatti impenetrabile per almeno quattro secoli. Solo con lโ€™aiuto della nascente glottologia, in pieno Ottocento, si cominciรฒ a capire che quei segni enigmatici, frutto di due differenti scuole di scrittura e quindi di due diversi alfabeti, prima etrusco e poi latino, erano in realtร  espressione di uno stesso, arcaico idioma indoeuropeo, oggi catalogato dai linguisti come ยซumbro-safinoยป.

Il linguista e archeologo Giacomo Devoto (1897-1974) ha definito le Tavole di Gubbio come ยซil piรบ importante testo rituale di tutta lโ€™antichitร  classicaยป. Secondo il Dizionario dโ€™antichitร  classica di Oxford (vol. III, 1953), ยซper la loro ampiezza e antichitร , superano in importanza tutti gli altri documenti disponibili per lo studio delle antiche religioni italicheยป.ย 

Norme, preghiere, invocazioni

Dalle lastre di bronzo riemergono 11 testi. Ma i temi trattati sono 9: due argomenti sono infatti ripetuti in una stesura doppia, sia breve che lunga. Le antiche parole scorrono per 7 facciate e mezza in una grafia etrusca, seppure adattata e per 4 facce e mezza in grafia latina. Piรบ di un centinaio di vocaboli, tutti sulla stessa tematica, si ripresentano nelle due diverse scritture. Questa singolare circostanza ha permesso che la conoscenza dei valori alfabetici latini servisse come chiave per comprendere i segni etruschi nelle parole uguali o anche in quelli simili. Sullo studio dei testi eugubini, che certamente non sono etruschi, si รจ quindi a lungo fondata la faticosa decifrazione della scrittura degli abitanti dellโ€™antica Etruria.ย 

Le Tavole Eugubine piรน antiche risalgono al III secolo a.C. e le piรน recenti al I secolo a.C. I testi, perรฒ, vennero composti centinaia di anni prima. Furono gli Umbri, contemporanei dei Romani, a fermare sul bronzo norme, preghiere e invocazioni che nei secoli precedenti erano state trascritte dai loro padri su pelli, tele, legni e altri materiali deperibili. Al momento dellโ€™ultima trascrizione, il testo tradizionale venne aggiornato con le unitร  di misura e monetarie romane, alcune indicazioni topografiche e lโ€™indicazione di nuove cariche pubbliche.ย 

I fori visibili sui lati provano che le Tavole dovevano essere appese per permetterne la visione, in un luogo pubblico, a tutta la comunitร  dellโ€™antico popolo italico: con ogni probabilitร , venivano esposte nellโ€™androne del Teatro Romano, nei pressi del quale furono poi ritrovate. Sui particolari della scoperta le cronache sono discordanti. Nel primo studio documentato sullโ€™argomento (1580), lโ€™erudito eugubino Gabriele Gabrielli fissรฒ la data del ritrovamento al 1444. รˆ comunque certo che dodici anni piรน tardi le Tavole diventarono proprietร  del Comune di Gubbio, come riporta un atto notarile, redatto in latino e sottoscritto dal cancelliere comunale Guerriero Campioni.ย 

La nascita del “bene culturale”

Per le sette Tavole, il Comune pagรฒ a Presentina, la contadina che scoprรฌ le Tavole, e alla sua famiglia, 40 fiorini dโ€™oro, equivalente alla cessione per due anni dei proventi dei pascoli dei monti intorno alla cittร . Il documento venne registrato sui libri delle Riformanze di Gubbio. Fu la prima azione mirata alla conservazione di un bene archeologico di cui si abbia notizia storica. Quella data, 25 agosto 1456, di fatto certifica la nascita dellโ€™archeologia intesa come preservazione e studio di documenti del passato insieme alla pratica della โ€œconservazione dei beni culturaliโ€. Un reperto storico che oggi definiamo ยซtestimonianza avente valore di civiltร ยป (Codice dei beni culturali e del paesaggio) venne acquistato da un ente pubblico e da allora venneย  considerato non piรน come patrimonio di un privato ma di tutta la comunitร  dei cittadini.

Nessun documento lo conferma. Ma di certo, un acquisto del genere, costoso e anche dal grande valore simbolico, non poteva essere stato deciso senza il consenso e la regia di Federico da Montefeltro, che a Gubbio era nato e che era salito al potere proprio nellโ€™anno dello straordinario ritrovamento.

Colpisce la descrizione che delle Tavole Eugubine fece il cancelliere comunale ser Guerriero Campioni, il notaio di fiducia del duca Federico: nellโ€™atto di compravendita per ben due volte, scrisse eburneas, anzichรฉ aheneas. Alludendo dunque a tavole bianche, come ยซlโ€™avorioยป e non ยซdi bronzoยป. Un lapsus dotto, se il notaio di Federico in quel momento pensava alle famose dodici tavole delle leggi romane che si dice fossero state incise su tavolette dโ€™avorio. O forse, piรน semplicemente, un errore, dovuto al farraginoso latinorum di un burocrate del XV secolo.ย 

Fatto sta che il Comune di Gubbio conservรฒ le preziose lastre di bronzoย  lontane da occhi indiscreti fin quasi agli inizi del Novecento. Lo studio delle epigrafi iniziรฒ perรฒ giร  a metร  del XVI secolo. Per provare a decifrare quelle lettere, si cominciรฒ innanzitutto a copiarle manualmente, come fece il domenicano bolognese Leandro Alberti.ย 

Intorno alla studio delle Tavole si arrovellรฒ soprattutto il conte eugubino Gabriele Gabrielli,ย  vissuto nella seconda metร  del Cinquecento, lโ€™unica fonte ad oggi ad indicare il 1444 come data di rinvenimento. Lโ€™erudito riprodusse le Tavole a stampa, con il metodo dellโ€™acquaforte e ne inviรฒ 300 esemplari, corredati di una breve introduzione e da un commento, ยซai dottiยป dโ€™Italia e di altre nazioni europee. Ma anche in Egitto e Turchia. Laย  sua speranza era quella che qualcuno, finalmente, ne decifrasse il significato. Nel 1613, un altro eugubino, il conte Giovan Battista Cantalmaggi, perseguรฌ lo stesso obiettivo riproducendo con pazienza quei segni impressi sul bronzo.ย 

A parlare per la prima volta di un documento di chiara origine soltanto umbra fu Curzio Inghirami (1614-1655), un discusso archeologo volterrano. Ma aveva fama di falsario e la sua tesi venne perciรฒ quasi del tutto ignorata. Lโ€™intuizione fu ripresa, con esito diverso, nel 1726 da un altro studioso toscano, Filippo Buonarroti che pubblicรฒ per la prima volta in Italia il De Etruria Regali, un trattato in sette libri scritto piรน di cento anni prima a Pisa dallo storico scozzese Thomas Dempster. Nellโ€™opera, commissionata allo studioso britannico da Cosimo II de Medici, erano elencate tutte le iscrizioni etrusche fino ad allora conosciute. Buonarroti aggiunse alla lista anche le Tavole Eugubine. Ma si premunรฌ di sottolineare una chiara evidenza: nei testi delle Tavole non comparivano mai nomi con la terminazione ยซalยป, tipica dellโ€™idioma degli Etruschi. La lingua riportata sul bronzo doveva quindi essere diversa. Ma Buonarroti, fondatore e primo “lucumone” dellโ€™Accademia etrusca di Cortona, con la prudenza dello storico, si limitรฒ a definire le sue puntuali osservazioni allโ€™opera di Dempster ยซexplicationes et coniecturaeยป.

Un unicum nella storia occidentale

Piรน tardi, anche Scipione Maffei (1675- 1755) โ€“ un erudito veronese che Giacomo Leopardi considerava ยซuomo nato nobile nella critica libera, franca, spregiudicata e originaleยป โ€“ volle vedere di persona quelle opere misteriose. E si convinse definitivamente del fatto che la lingua fermata sui bronzi non poteva essere etrusca. Unโ€™altra, autorevole conferma, arrivรฒ nel 1734 dagli studi del linguista e filosofo svizzero Louis Bourguet. Delle Tavole scrisse anche Anton Francesco Gori (1691-1757), nel suo Museum Etruscum, e un altro studioso settecentesco, lโ€™alto prelato Giovan Battista Passeri, notรฒ per primo che le prime Tavole e le ultime due trattavano di argomenti simili. Il valore fonetico dei segni venne analizzato anche dal gesuita Luigi Lanzi nel 1789.

Ma fu lโ€™archeologo tedesco Karl Richard Lepsius (1810- 1884) ad affrontare per la prima volta lo studio dei testi di Gubbio su basi scientifiche. Lepsius dedicรฒ alle Tavole Eugubine la sua tesi di dottorato, nel 1833. E assegnรฒ loro una numerazione, composta da una faccia anteriore A e una posteriore B. Lโ€™opera De tabulis eugubinis fu pubblicata dallโ€™ateneo di Berlino ed ebbe grande risonanza nellโ€™ambiente accademico. La consacrazione scientifica giunse perรฒ solo cento anni piรน tardi, grazie a Giacomo Devoto, il massimo glottologo italiano del Novecento che ai bronzi dedicรฒ unโ€™opera fondamentale, Tabulae iguvinae (1937), nella quale scrisse: ยซNon possediamo nulla di simile nรฉ in lingua latina nรฉ greca: per trovare paralleli, bisogna ricorrere a letterature del vicino o lontano Orienteยป. Cโ€™era insomma una storia da riscrivere, ma che era giร  incisa sul bronzo.

Lโ€™impresa della traduzione coinvolse i maggiori glottologi italiani, dallโ€™indianista Vittore Pisani (1899-1990) ad Aldo Prosdocimi (1941-2016), il quale, nel 1984, pubblicรฒ il testo con la conseguente descrizione paleografica. Le Tavole furono indagate con passione anche da Piero Luigi Menichetti (1923- 1998), appassionato studioso della storia di Gubbio. Il secolare percorso della traduzione fu completato dal glottologo Augusto Ancillotti, autore, con Romolo Cerri, de Le tavole di Gubbio e la civiltร  degli umbri (Edizioni Jama, Perugia 1996).ย 

Umbro, quindi fidato

Gli storici greci testimoniano che il nome Umbri, fosse usato in riferimento agli abitanti di una vastissima zona tra il Po e il Tevere. Ben piรน grande quindi dellโ€™Umbria attuale. Poco chiara, ancora oggi, รจ lโ€™origine del nome. Gli antichi lo legavano al greco ombros, ยซpioggiaยป riferito allโ€™antichissimo popolo scampato al mitologico al “diluvio universale”. Per i glottologi lโ€™origine รจ meno favolosa: si tratta con ogni probabilitร  dello sviluppo di un aggettivo indeuropeo *omro- che significava ยซsolido, pertinaceยป, e quindi, in senso morale veniva associato a chi รจ ยซfidatoยป ed era capace di rispettare la parola data. Lโ€™indicazione ombriรฌen akren (โ€œnellโ€™agro Umbroโ€) รจ trascritta in una arcaica iscrizione picena.ย  In unโ€™altra epigrafe del VI secolo avanti Cristo, rinvenuta in territorio etrusco, appare lโ€™orgogliosa firma di un tale Ombrikos. Ma la parola non compare mai nelle Tavole di Gubbio. Nelle Tavole di Gubbio perรฒ non cโ€™รจ traccia di questo termine. Del resto quelli che noi ricordiamo come Antichi Umbri, quando parlavano di se stessi si definivano Safini o Savni. E parlavano dal Po fino allโ€™attuale Lucania la stessa lingua indoeuropea, declinata in cento dialetti diversi: Safini (o Savni), Sabini, Sanniti.

Solo quattro vocali

Le Tavole Eugubine vennero fuse nel bronzo con il metodo della “cera persa”. Contengono 750 parole umbre. In realtร  i termini citati sono ben 4365. Ma molte parole si ripetono e spesso, con voci simili, si indicano le medesime cose. Lโ€™antico alfabeto รจ composto da 18 lettere: 14 consonanti e 4 vocali (manca la O). Solo le Tavole III e IV non presentano scritte su entrambe i lati, ma le differenze non si fermano qui. Le Tavole I e II hanno le stesse dimensioni; la III e la IV sono piรน piccole delle prime due; la V รจ di grandezza media, mentre le ultime due sono piรน grandi delle altre. Le prime quattro Tavole e anche una parte della V, sono redatte da destra a sinistra. La parte restante della V tavola e le ultime due si leggono invece da sinistra a destra. Le lastre di bronzo elencano prescrizioni rituali destinate alla Confraternita Atiedia, un collegio di cittadini eccellenti della comunitร  iguvina che aveva il compito di officiare i culti collettivi. Chiamati cosรฌ in ricordo di Atiedio, cittร  madre nellโ€™alta valle dellโ€™Esino, oggi Attiggio, frazione del comune di Fabriano, di cui Iguvium era figlia o colonia.ย 

Parlare con gli dei

Parlare con gli dรจi a nome di tutta la comunitร  era considerato un privilegio riservato a pochi, nobili eletti. Ma era importante celebrare la cerimonia in modo corretto, secondo procedure rigorose e immutabili, attraverso un ยซbreviarioยป che andava conservato e trasmesso di generazione in generazione. Occorreva evitare che chi officiava i riti potesse modificare i modi e i tempi di una liturgia considerata perfetta e vista dagli antichi abitanti dellโ€™Appennino come il solo strumento capace di assicurare la benevolenza divina, la salute delle persone e del bestiame, nonchรฉ lโ€™agognata prosperitร  dei campi. Tramandare il ยซbreviarioยป attraverso il quale si celebravano i riti comunitari di Iguvium e delle cittร  alleate era il primo e il piรบ importante dei doveri.ย 

Venti cittร  alleate

Cosรฌ attraverso le regole del rito, possiamo ricostruire la societร  degli antichi Umbri. La comunitร  cittadina, organizzata in senso politico e amministrativo, veniva chiamata tota.ย 

Nella Tavola II e nella Tavola V sono riportate le istruzioni per il corretto svolgimento rituale del patto della decade, termine con cui si indicava una confederazione tradizionale di dieci comunitร , strette in un patto lungo un territorio appenninico che da Iguvium arrivava al Mare Adriatico. Le cittร -stato alleate, con il tempo, diventarono venti, pur mantenendo i dieci nomi sacri originali: tiieriate, klaverniie, kureiate, satanes, peieriate, talenate, museiate, iuieskane, kaselate e peraznanie.ย 

La Tavola V รจ peraltro un documento eccezionale che apre uno squarcio incredibilmente moderno su una societร  di quasi tremila anni fa: la confraternita era gestita in modo collegiale, su base maggioritaria. Lโ€™esecuzione impeccabile degli atti e la gestione delle parole cerimoniali erano compiti specifici di un officiante. Ma il prescelto non era un autocrate. Anzi, sottoponeva ogni suo atto al gradimento dei confratelli, che, a seconda del suo operato, potevano premiarlo o multarlo.ย 

Anche nel rapporto con gli dรจi valevano le stesse regole della societร  degli uomini: al primo posto cโ€™era la lealtร  e il rispetto dellโ€™impegno assunto. La parola data era talmente importante che venne addirittura divinizzata: Fisone Sancio era il dio che riconosceva un patto come valido e quindi ยซsancivaยป ogni decisione fino a sacralizzarla, conferendo ufficialitร  e chiarezza agli accordi presi. Un garante dei patti su cui si fondava la comunitร , ma anche delle molte regole che le cittร  confederate degli Antichi Umbri dovevano rispettare.ย 

La guerra come difesa

I nove testi diversi raccolti nelle sette Tavole sono quindi un manuale del giusto rapporto da assumere quando ci si rivolge alla divinitร . Per esempio, raccontano in modo minuzioso il corretto svolgimento delle cerimonie di purificazione sia sul terreno religioso (piacula) che su quello militare (lustratio). Oppure elencano le prescrizioni del rito ยซper auspici avversiยป. Arrivano a descrivere, nei dettagli, il sacrificio rituale di un cane. E regolano la corretta cerimonia di cinque speciali giornate dellโ€™anno, dette Sestentasie, che servivano a propiziare il raccolto secondo le tradizioni dellโ€™antico mondo agropastorale. Le parole scritte sul bronzo illustrano i dirittiย  e i doveri degli officianti e chiariscono le regole tributarie e commerciali da rispettare nei rapporti fra le cittร  confederate.

Di particolare interesse, per piรน motivi, appare la descrizione che le Tavole Eugubine fanno della lustratio, una cerimonia di purificazione dei cittadini in armi. Le azioni militari portavano morte e distruzioni e quindi rovesciavano lโ€™ordine naturale delle cose. Cosรฌ lโ€™adunata in uno spazio pubblico si ripeteva in modo periodico. Dalle parole trascritte sulle Tavole di Gubbio scopriamo un popolo che impugna le armi solo quando รจ costretto. E che vede la guerra, in modo pressochรฉ esclusivo, soltanto come uno strumento di difesa. Lโ€™abito del soldato andava indossato come un dovere verso gli altri, per difendere il bene comune del territorio minacciato dai nemici. Ma la guerra รจ comunque un male, da tenere lontano dalle proprie case e dalla vita di tutti i giorni.ย 

Il mestiere delle armi, in ogni caso, era di esclusiva competenza delle รฉlites cittadine. La lustratio, una delle piรบ arcaiche forme di censimento conosciute, diventava cosรฌ anche un modo per contarsi, per capire chi era in condizione di combattere. Lโ€™elenco dei potenziali guerrieri da coinvolgere in una guerra escludeva gli stranieri. La circostanza, paradossalmente, fa riflettere sullo spirito tollerante dellโ€™antico popolo italico verso chi non era nato nella comunitร  di Iguvium: la circostanza che il divieto venga ripetuto piรบ volte, ci informa sul fatto che nella cittร  degli Umbri risiedevano molti stranieri e che la loro presenza, se si eccettua il momento della battaglia, era considerata del tutto normale. Lโ€™esclusione dalla cerimonia militare non era quindi dettata da ostilitร , ma dalla necessitร  di rimarcare lโ€™identitร  cittadina.ย 

La giusta misura

Nella vita di ogni giorno gli antichi Umbri cercavano di continuo il mers, la parola che definisce la ยซgiusta misuraยป. Un buon senso da inseguire anche nella vita di tutti i giorni e che emerge anche nel testo della Tavola VII, soprattutto nel passo della imprecatio, la preghiera rivolta alla divinitร  di Torsa Giovia per ottenere la sconfitta dei nemici. Gli abitanti di Iguvium descrivono se stessi come vittime di continue scorrerie da parte di bellicosi vicini e le condannano con forza. Tuttavia, sanno che non รจ possibile eliminarle del tutto dalla loro vita. In qualche modo devono convivere con la disgrazia di essere quasi sempre sotto la pressione di un attacco. Allora pregano la dea in modo collettivo, chiedendole di terrorizzare i nemici, perchรฉ almeno si spostino e ripieghino in altre zone. La giร  citata confederazione Atiedia, che raggruppava venti cittร  alleate, al di lร  del Tevere confinava con Perugia e gli altri centri controllati dagli Etruschi; a oriente, verso il mare, cโ€™era il costante pericolo degli Iapodi, i pirati illirici che infestavano le coste adriatiche; a sud, vivevano altre genti umbre: i Tadinati, insediati nellโ€™area dellโ€™attuale Gualdo Tadino, e i Naharchi, che abitavano lungo le sponde del fiume Nera nei pressi del luogo dove poi nacque Interamna Nahars, la Terni latina.ย 

Una visione tripartita

Nel racconto ormai decifrato delle Tavole, la cultura paleoumbra dellโ€™etร  del Bronzo e quella safina o savina dellโ€™etร  del Ferro sono mescolate. Nella prima cโ€™รจ una visione piรน antica del divino, che appare misterioso e duale: uranio e ctonio, celeste e allo stesso tempo interno al terreno. La seconda, come scrive il glottologo Augusto Ancillotti, รจ invece ยซportatrice di una visione tripartita, che vede il divino, come lโ€™umano, articolato secondo il potere della parola magica e creatrice, potere della forza materiale e potere della vitalitร  e della feconditร ยป. Il dio della riproduzione รจ lโ€™umbro Vofion, la divinitร  del clan. La trinitร  รจ costituita quindi da Giove Grabovio, Marte Grabovio e Vofione Grabovio. Una chiara indicazione che giร  allโ€™epoca in cui i testi sacriย  vennero trascritti sul bronzo, tutti gli dรจi avevano giร  assunto i caratteri di Grabo, unโ€™antichissima divinitร  iguvina.ย 

Giove padre, trasposizione dellโ€™autoritร  assoluta del pater familias, รจ il patrono del monte Fisio che domina Iguvium e della stessa Confraternita Atiedia; Mart, corrispondente del Marte latino, รจ lโ€™atavico dio dei guerrieri pastori; Vofione รจ il dio della fertilitร , che assicura la discendenza e quindi la vita futura alla cittร . Tre divinitร  che proteggono la tota. Nel rito colpisce la valenza magico-religiosa attribuita al numero: tre sono le porte maggiori, Tessenaca, Trebulana e Vehia, dalle quali si poteva accedere allโ€™antica Iguvium; tre gli enti beneficiari delle offerte; tre anche i tempi del sacrificio. Cosรฌ come ternario รจ il ritmo della danza rituale. E la proclamazione della fine del rito, descritta nella Tavola VI, che doveva essere ripetuta tre volte prima che la fila degli armati potesse finalmente sciogliersi.ย 

La nascita della Cosa Pubblica

Nellโ€™Italia preromana gli Umbri gettarono le basi della nostra civiltร . Insediamenti in forma di villaggi furono organizzati come comunitร  statali. Allโ€™antico popolo dobbiamo la pratica della giustizia e lโ€™istituzione delle prime magistrature civili e religiose. Nacque allora il concetto di patria comune e il territorio iniziรฒ a essere considerato un bene collettivo da difendere. Gli Umbri fissarono per primi alcune norme che sono ancora fondamentali per le societร  contemporanee. Come il rispetto del principio della separazione della proprietร  privata, governata dalla famiglia patriarcale e la ยซcosa pubblicaยป, patrimonio di tutta la comunitร .ย 

La confederazione (deku), delle venti cittร  allโ€™interno di una unitร  territoriale molto piรน ampia del proprio paese, serviva a dare spazio ai commerci e agli spostamenti stagionali di quel popolo di pastori. Facilitava la costruzione di nuove strade e regolava la transumanza del bestiame, lungo i tratturi che si intrecciavano tra le valli.ย  Quasi tremila anni fa, sui monti dellโ€™Appennino accadeva quindi, in una forma certamente molto diversa, qualcosa di simile a quello che succede oggi con la libera circolazione delle persone e delle merci allโ€™interno dellโ€™Unione Europea.

Nacquero allora tutta una serie di figure capaci di ordinare la vita pubblica, dal magistrato in capo (uhtur), al suo collega che curava le opere pubbliche (maron). Fino al giudice (meddix) e allโ€™arbiter, il magistrato โ€œequidistanteโ€ a cui era demandato il compito di risolvere le controversie.

Lโ€™enorme contributo degli Antichi Umbri, il piรน antico dei popoli italici, attraverso i “nipoti” Sabini alla nascita di Roma, รจ testimoniato dalle eccezionali simmetrie che si riscontrano nellโ€™organizzazione politica e sociale dei due popoli. A partire dai rituali della fondazione dellโ€™Urbe descritti nella leggenda di Romolo e Remo fino alla religione, allโ€™ideologia sociale e alle radici piรน profonde del diritto romano. I nomi degli antichi re sabini di Roma sono il simbolo stesso di uno straordinario patrimonio religioso e morale. Da Tito Tazio che regnรฒ per cinque anni insieme a Romolo al grande Numa Pompilio, “padre” riconosciuto della cittร  che nei secoli verrร  ricordata come caput mundi.ย 

Un’ereditร  di parole

Le Tavole Eugubine parlano ancora. Ci ricordano il debito culturale che ci lega al piรน antico fra tutti i popoli italici. Trascurato dalla storiografia ufficiale, eppure capace di trasportare fino ai giorni nostri un lascito eccezionale, lontano dalle meraviglie dellโ€™arte etrusca o dalle grandiose opere dei Romani e a lungo misconosciuto, ma comunque ancora integro, a distanza di trenta secoli.ย 

Una ereditร  preziosa, fatta di parole. Quelle che ancora usiamo nella vita di tutti i giorni. E che dalla oscura lingua dei bronzi eugubini sono passate al latino e poi allโ€™italiano. Parole della viabilitร  โ€“ come via o calle โ€“; della teologia o del culto โ€“ come Cerere, pontifex oppure pius โ€“; dellโ€™ideologia sociale (vir, familia, curia); della terminologia giuridica (arbiter, auctoritas, stipula). Oppure dellโ€™organizzazione militare: centuria, fundere, hastatus, cinctus.ย 

Suoni vivi e familiari: casa, tetto, vino, cibo, popolo, soglia, vaso, carne, picchio, capro o vitello. Verbi come curare, tacere, portare oppure sancire. E aggettivi che evocano la forza del bronzo: saldo, salvo, scritto, sacroโ€ฆ Radici profonde e intrecci di parole che ci legano per sempre ai segni, a lungo misteriosi, delle Tavole di Gubbio.

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