- Le Tavole Iuguvine sono sette tavole di bronzo conservate nel Palazzo dei Consoli di Gubbio
- Giacomo Devoto ha definito le Tavole di Gubbio come il piรบ importante testo rituale di tutta lโantichitร classica
- Nel 1456 il Comune di Gubbio pagรฒ 40 fiorini d’oro per acquistare le tavole dalla contadina di nome Presentina che le scoprรฌ 12 anni prima
- Dalle lastre di bronzo si ricavano 11 testi che parlano di 9 argomenti. Per 7 facciate e mezza la grafia รจ etrusca, seppure adattata e per 4 facce e mezza รจ in grafia latina.
Le sette Tavole
Sette lastre di bronzo. Rettangolari. Diverse per peso e misure. Esposte una accanto allโaltra, in una sala del trecentesco Palazzo dei Consoli: sono le Tavole Eugubine, trovate per caso, secondo la tradizione, nel 1444 da una contadina, in un terreno adibito a pascolo delle pecore, nei pressi del Teatro Romano di Gubbio.
Un passo dellโatto notarile, stilato nel 1456 al momento del loro acquisto da parte del Comune, descrive bene lo stupore che ancora oggi si prova di fronte agli antichi segni che corrono sul bronzo: ยซVariis literis scriptas latinis et segretisยป. ยซLettere diverse, sia latine che misterioseยป.ย
Il senso delle 4365 parole incise sul metallo rimase infatti impenetrabile per almeno quattro secoli. Solo con lโaiuto della nascente glottologia, in pieno Ottocento, si cominciรฒ a capire che quei segni enigmatici, frutto di due differenti scuole di scrittura e quindi di due diversi alfabeti, prima etrusco e poi latino, erano in realtร espressione di uno stesso, arcaico idioma indoeuropeo, oggi catalogato dai linguisti come ยซumbro-safinoยป.
Il linguista e archeologo Giacomo Devoto (1897-1974) ha definito le Tavole di Gubbio come ยซil piรบ importante testo rituale di tutta lโantichitร classicaยป. Secondo il Dizionario dโantichitร classica di Oxford (vol. III, 1953), ยซper la loro ampiezza e antichitร , superano in importanza tutti gli altri documenti disponibili per lo studio delle antiche religioni italicheยป.ย
Norme, preghiere, invocazioni
Dalle lastre di bronzo riemergono 11 testi. Ma i temi trattati sono 9: due argomenti sono infatti ripetuti in una stesura doppia, sia breve che lunga. Le antiche parole scorrono per 7 facciate e mezza in una grafia etrusca, seppure adattata e per 4 facce e mezza in grafia latina. Piรบ di un centinaio di vocaboli, tutti sulla stessa tematica, si ripresentano nelle due diverse scritture. Questa singolare circostanza ha permesso che la conoscenza dei valori alfabetici latini servisse come chiave per comprendere i segni etruschi nelle parole uguali o anche in quelli simili. Sullo studio dei testi eugubini, che certamente non sono etruschi, si รจ quindi a lungo fondata la faticosa decifrazione della scrittura degli abitanti dellโantica Etruria.ย
Le Tavole Eugubine piรน antiche risalgono al III secolo a.C. e le piรน recenti al I secolo a.C. I testi, perรฒ, vennero composti centinaia di anni prima. Furono gli Umbri, contemporanei dei Romani, a fermare sul bronzo norme, preghiere e invocazioni che nei secoli precedenti erano state trascritte dai loro padri su pelli, tele, legni e altri materiali deperibili. Al momento dellโultima trascrizione, il testo tradizionale venne aggiornato con le unitร di misura e monetarie romane, alcune indicazioni topografiche e lโindicazione di nuove cariche pubbliche.ย
I fori visibili sui lati provano che le Tavole dovevano essere appese per permetterne la visione, in un luogo pubblico, a tutta la comunitร dellโantico popolo italico: con ogni probabilitร , venivano esposte nellโandrone del Teatro Romano, nei pressi del quale furono poi ritrovate. Sui particolari della scoperta le cronache sono discordanti. Nel primo studio documentato sullโargomento (1580), lโerudito eugubino Gabriele Gabrielli fissรฒ la data del ritrovamento al 1444. ร comunque certo che dodici anni piรน tardi le Tavole diventarono proprietร del Comune di Gubbio, come riporta un atto notarile, redatto in latino e sottoscritto dal cancelliere comunale Guerriero Campioni.ย
La nascita del “bene culturale”
Per le sette Tavole, il Comune pagรฒ a Presentina, la contadina che scoprรฌ le Tavole, e alla sua famiglia, 40 fiorini dโoro, equivalente alla cessione per due anni dei proventi dei pascoli dei monti intorno alla cittร . Il documento venne registrato sui libri delle Riformanze di Gubbio. Fu la prima azione mirata alla conservazione di un bene archeologico di cui si abbia notizia storica. Quella data, 25 agosto 1456, di fatto certifica la nascita dellโarcheologia intesa come preservazione e studio di documenti del passato insieme alla pratica della โconservazione dei beni culturaliโ. Un reperto storico che oggi definiamo ยซtestimonianza avente valore di civiltร ยป (Codice dei beni culturali e del paesaggio) venne acquistato da un ente pubblico e da allora venneย considerato non piรน come patrimonio di un privato ma di tutta la comunitร dei cittadini.
Nessun documento lo conferma. Ma di certo, un acquisto del genere, costoso e anche dal grande valore simbolico, non poteva essere stato deciso senza il consenso e la regia di Federico da Montefeltro, che a Gubbio era nato e che era salito al potere proprio nellโanno dello straordinario ritrovamento.
Colpisce la descrizione che delle Tavole Eugubine fece il cancelliere comunale ser Guerriero Campioni, il notaio di fiducia del duca Federico: nellโatto di compravendita per ben due volte, scrisse eburneas, anzichรฉ aheneas. Alludendo dunque a tavole bianche, come ยซlโavorioยป e non ยซdi bronzoยป. Un lapsus dotto, se il notaio di Federico in quel momento pensava alle famose dodici tavole delle leggi romane che si dice fossero state incise su tavolette dโavorio. O forse, piรน semplicemente, un errore, dovuto al farraginoso latinorum di un burocrate del XV secolo.ย
Fatto sta che il Comune di Gubbio conservรฒ le preziose lastre di bronzoย lontane da occhi indiscreti fin quasi agli inizi del Novecento. Lo studio delle epigrafi iniziรฒ perรฒ giร a metร del XVI secolo. Per provare a decifrare quelle lettere, si cominciรฒ innanzitutto a copiarle manualmente, come fece il domenicano bolognese Leandro Alberti.ย
Intorno alla studio delle Tavole si arrovellรฒ soprattutto il conte eugubino Gabriele Gabrielli,ย vissuto nella seconda metร del Cinquecento, lโunica fonte ad oggi ad indicare il 1444 come data di rinvenimento. Lโerudito riprodusse le Tavole a stampa, con il metodo dellโacquaforte e ne inviรฒ 300 esemplari, corredati di una breve introduzione e da un commento, ยซai dottiยป dโItalia e di altre nazioni europee. Ma anche in Egitto e Turchia. Laย sua speranza era quella che qualcuno, finalmente, ne decifrasse il significato. Nel 1613, un altro eugubino, il conte Giovan Battista Cantalmaggi, perseguรฌ lo stesso obiettivo riproducendo con pazienza quei segni impressi sul bronzo.ย
A parlare per la prima volta di un documento di chiara origine soltanto umbra fu Curzio Inghirami (1614-1655), un discusso archeologo volterrano. Ma aveva fama di falsario e la sua tesi venne perciรฒ quasi del tutto ignorata. Lโintuizione fu ripresa, con esito diverso, nel 1726 da un altro studioso toscano, Filippo Buonarroti che pubblicรฒ per la prima volta in Italia il De Etruria Regali, un trattato in sette libri scritto piรน di cento anni prima a Pisa dallo storico scozzese Thomas Dempster. Nellโopera, commissionata allo studioso britannico da Cosimo II de Medici, erano elencate tutte le iscrizioni etrusche fino ad allora conosciute. Buonarroti aggiunse alla lista anche le Tavole Eugubine. Ma si premunรฌ di sottolineare una chiara evidenza: nei testi delle Tavole non comparivano mai nomi con la terminazione ยซalยป, tipica dellโidioma degli Etruschi. La lingua riportata sul bronzo doveva quindi essere diversa. Ma Buonarroti, fondatore e primo “lucumone” dellโAccademia etrusca di Cortona, con la prudenza dello storico, si limitรฒ a definire le sue puntuali osservazioni allโopera di Dempster ยซexplicationes et coniecturaeยป.
Un unicum nella storia occidentale
Piรน tardi, anche Scipione Maffei (1675- 1755) โ un erudito veronese che Giacomo Leopardi considerava ยซuomo nato nobile nella critica libera, franca, spregiudicata e originaleยป โ volle vedere di persona quelle opere misteriose. E si convinse definitivamente del fatto che la lingua fermata sui bronzi non poteva essere etrusca. Unโaltra, autorevole conferma, arrivรฒ nel 1734 dagli studi del linguista e filosofo svizzero Louis Bourguet. Delle Tavole scrisse anche Anton Francesco Gori (1691-1757), nel suo Museum Etruscum, e un altro studioso settecentesco, lโalto prelato Giovan Battista Passeri, notรฒ per primo che le prime Tavole e le ultime due trattavano di argomenti simili. Il valore fonetico dei segni venne analizzato anche dal gesuita Luigi Lanzi nel 1789.
Ma fu lโarcheologo tedesco Karl Richard Lepsius (1810- 1884) ad affrontare per la prima volta lo studio dei testi di Gubbio su basi scientifiche. Lepsius dedicรฒ alle Tavole Eugubine la sua tesi di dottorato, nel 1833. E assegnรฒ loro una numerazione, composta da una faccia anteriore A e una posteriore B. Lโopera De tabulis eugubinis fu pubblicata dallโateneo di Berlino ed ebbe grande risonanza nellโambiente accademico. La consacrazione scientifica giunse perรฒ solo cento anni piรน tardi, grazie a Giacomo Devoto, il massimo glottologo italiano del Novecento che ai bronzi dedicรฒ unโopera fondamentale, Tabulae iguvinae (1937), nella quale scrisse: ยซNon possediamo nulla di simile nรฉ in lingua latina nรฉ greca: per trovare paralleli, bisogna ricorrere a letterature del vicino o lontano Orienteยป. Cโera insomma una storia da riscrivere, ma che era giร incisa sul bronzo.
Lโimpresa della traduzione coinvolse i maggiori glottologi italiani, dallโindianista Vittore Pisani (1899-1990) ad Aldo Prosdocimi (1941-2016), il quale, nel 1984, pubblicรฒ il testo con la conseguente descrizione paleografica. Le Tavole furono indagate con passione anche da Piero Luigi Menichetti (1923- 1998), appassionato studioso della storia di Gubbio. Il secolare percorso della traduzione fu completato dal glottologo Augusto Ancillotti, autore, con Romolo Cerri, de Le tavole di Gubbio e la civiltร degli umbri (Edizioni Jama, Perugia 1996).ย
Umbro, quindi fidato
Gli storici greci testimoniano che il nome Umbri, fosse usato in riferimento agli abitanti di una vastissima zona tra il Po e il Tevere. Ben piรน grande quindi dellโUmbria attuale. Poco chiara, ancora oggi, รจ lโorigine del nome. Gli antichi lo legavano al greco ombros, ยซpioggiaยป riferito allโantichissimo popolo scampato al mitologico al “diluvio universale”. Per i glottologi lโorigine รจ meno favolosa: si tratta con ogni probabilitร dello sviluppo di un aggettivo indeuropeo *omro- che significava ยซsolido, pertinaceยป, e quindi, in senso morale veniva associato a chi รจ ยซfidatoยป ed era capace di rispettare la parola data. Lโindicazione ombriรฌen akren (โnellโagro Umbroโ) รจ trascritta in una arcaica iscrizione picena.ย In unโaltra epigrafe del VI secolo avanti Cristo, rinvenuta in territorio etrusco, appare lโorgogliosa firma di un tale Ombrikos. Ma la parola non compare mai nelle Tavole di Gubbio. Nelle Tavole di Gubbio perรฒ non cโรจ traccia di questo termine. Del resto quelli che noi ricordiamo come Antichi Umbri, quando parlavano di se stessi si definivano Safini o Savni. E parlavano dal Po fino allโattuale Lucania la stessa lingua indoeuropea, declinata in cento dialetti diversi: Safini (o Savni), Sabini, Sanniti.
Solo quattro vocali
Le Tavole Eugubine vennero fuse nel bronzo con il metodo della “cera persa”. Contengono 750 parole umbre. In realtร i termini citati sono ben 4365. Ma molte parole si ripetono e spesso, con voci simili, si indicano le medesime cose. Lโantico alfabeto รจ composto da 18 lettere: 14 consonanti e 4 vocali (manca la O). Solo le Tavole III e IV non presentano scritte su entrambe i lati, ma le differenze non si fermano qui. Le Tavole I e II hanno le stesse dimensioni; la III e la IV sono piรน piccole delle prime due; la V รจ di grandezza media, mentre le ultime due sono piรน grandi delle altre. Le prime quattro Tavole e anche una parte della V, sono redatte da destra a sinistra. La parte restante della V tavola e le ultime due si leggono invece da sinistra a destra. Le lastre di bronzo elencano prescrizioni rituali destinate alla Confraternita Atiedia, un collegio di cittadini eccellenti della comunitร iguvina che aveva il compito di officiare i culti collettivi. Chiamati cosรฌ in ricordo di Atiedio, cittร madre nellโalta valle dellโEsino, oggi Attiggio, frazione del comune di Fabriano, di cui Iguvium era figlia o colonia.ย
Parlare con gli dei
Parlare con gli dรจi a nome di tutta la comunitร era considerato un privilegio riservato a pochi, nobili eletti. Ma era importante celebrare la cerimonia in modo corretto, secondo procedure rigorose e immutabili, attraverso un ยซbreviarioยป che andava conservato e trasmesso di generazione in generazione. Occorreva evitare che chi officiava i riti potesse modificare i modi e i tempi di una liturgia considerata perfetta e vista dagli antichi abitanti dellโAppennino come il solo strumento capace di assicurare la benevolenza divina, la salute delle persone e del bestiame, nonchรฉ lโagognata prosperitร dei campi. Tramandare il ยซbreviarioยป attraverso il quale si celebravano i riti comunitari di Iguvium e delle cittร alleate era il primo e il piรบ importante dei doveri.ย
Venti cittร alleate
Cosรฌ attraverso le regole del rito, possiamo ricostruire la societร degli antichi Umbri. La comunitร cittadina, organizzata in senso politico e amministrativo, veniva chiamata tota.ย
Nella Tavola II e nella Tavola V sono riportate le istruzioni per il corretto svolgimento rituale del patto della decade, termine con cui si indicava una confederazione tradizionale di dieci comunitร , strette in un patto lungo un territorio appenninico che da Iguvium arrivava al Mare Adriatico. Le cittร -stato alleate, con il tempo, diventarono venti, pur mantenendo i dieci nomi sacri originali: tiieriate, klaverniie, kureiate, satanes, peieriate, talenate, museiate, iuieskane, kaselate e peraznanie.ย
La Tavola V รจ peraltro un documento eccezionale che apre uno squarcio incredibilmente moderno su una societร di quasi tremila anni fa: la confraternita era gestita in modo collegiale, su base maggioritaria. Lโesecuzione impeccabile degli atti e la gestione delle parole cerimoniali erano compiti specifici di un officiante. Ma il prescelto non era un autocrate. Anzi, sottoponeva ogni suo atto al gradimento dei confratelli, che, a seconda del suo operato, potevano premiarlo o multarlo.ย
Anche nel rapporto con gli dรจi valevano le stesse regole della societร degli uomini: al primo posto cโera la lealtร e il rispetto dellโimpegno assunto. La parola data era talmente importante che venne addirittura divinizzata: Fisone Sancio era il dio che riconosceva un patto come valido e quindi ยซsancivaยป ogni decisione fino a sacralizzarla, conferendo ufficialitร e chiarezza agli accordi presi. Un garante dei patti su cui si fondava la comunitร , ma anche delle molte regole che le cittร confederate degli Antichi Umbri dovevano rispettare.ย
La guerra come difesa
I nove testi diversi raccolti nelle sette Tavole sono quindi un manuale del giusto rapporto da assumere quando ci si rivolge alla divinitร . Per esempio, raccontano in modo minuzioso il corretto svolgimento delle cerimonie di purificazione sia sul terreno religioso (piacula) che su quello militare (lustratio). Oppure elencano le prescrizioni del rito ยซper auspici avversiยป. Arrivano a descrivere, nei dettagli, il sacrificio rituale di un cane. E regolano la corretta cerimonia di cinque speciali giornate dellโanno, dette Sestentasie, che servivano a propiziare il raccolto secondo le tradizioni dellโantico mondo agropastorale. Le parole scritte sul bronzo illustrano i dirittiย e i doveri degli officianti e chiariscono le regole tributarie e commerciali da rispettare nei rapporti fra le cittร confederate.
Di particolare interesse, per piรน motivi, appare la descrizione che le Tavole Eugubine fanno della lustratio, una cerimonia di purificazione dei cittadini in armi. Le azioni militari portavano morte e distruzioni e quindi rovesciavano lโordine naturale delle cose. Cosรฌ lโadunata in uno spazio pubblico si ripeteva in modo periodico. Dalle parole trascritte sulle Tavole di Gubbio scopriamo un popolo che impugna le armi solo quando รจ costretto. E che vede la guerra, in modo pressochรฉ esclusivo, soltanto come uno strumento di difesa. Lโabito del soldato andava indossato come un dovere verso gli altri, per difendere il bene comune del territorio minacciato dai nemici. Ma la guerra รจ comunque un male, da tenere lontano dalle proprie case e dalla vita di tutti i giorni.ย
Il mestiere delle armi, in ogni caso, era di esclusiva competenza delle รฉlites cittadine. La lustratio, una delle piรบ arcaiche forme di censimento conosciute, diventava cosรฌ anche un modo per contarsi, per capire chi era in condizione di combattere. Lโelenco dei potenziali guerrieri da coinvolgere in una guerra escludeva gli stranieri. La circostanza, paradossalmente, fa riflettere sullo spirito tollerante dellโantico popolo italico verso chi non era nato nella comunitร di Iguvium: la circostanza che il divieto venga ripetuto piรบ volte, ci informa sul fatto che nella cittร degli Umbri risiedevano molti stranieri e che la loro presenza, se si eccettua il momento della battaglia, era considerata del tutto normale. Lโesclusione dalla cerimonia militare non era quindi dettata da ostilitร , ma dalla necessitร di rimarcare lโidentitร cittadina.ย
La giusta misura
Nella vita di ogni giorno gli antichi Umbri cercavano di continuo il mers, la parola che definisce la ยซgiusta misuraยป. Un buon senso da inseguire anche nella vita di tutti i giorni e che emerge anche nel testo della Tavola VII, soprattutto nel passo della imprecatio, la preghiera rivolta alla divinitร di Torsa Giovia per ottenere la sconfitta dei nemici. Gli abitanti di Iguvium descrivono se stessi come vittime di continue scorrerie da parte di bellicosi vicini e le condannano con forza. Tuttavia, sanno che non รจ possibile eliminarle del tutto dalla loro vita. In qualche modo devono convivere con la disgrazia di essere quasi sempre sotto la pressione di un attacco. Allora pregano la dea in modo collettivo, chiedendole di terrorizzare i nemici, perchรฉ almeno si spostino e ripieghino in altre zone. La giร citata confederazione Atiedia, che raggruppava venti cittร alleate, al di lร del Tevere confinava con Perugia e gli altri centri controllati dagli Etruschi; a oriente, verso il mare, cโera il costante pericolo degli Iapodi, i pirati illirici che infestavano le coste adriatiche; a sud, vivevano altre genti umbre: i Tadinati, insediati nellโarea dellโattuale Gualdo Tadino, e i Naharchi, che abitavano lungo le sponde del fiume Nera nei pressi del luogo dove poi nacque Interamna Nahars, la Terni latina.ย
Una visione tripartita
Nel racconto ormai decifrato delle Tavole, la cultura paleoumbra dellโetร del Bronzo e quella safina o savina dellโetร del Ferro sono mescolate. Nella prima cโรจ una visione piรน antica del divino, che appare misterioso e duale: uranio e ctonio, celeste e allo stesso tempo interno al terreno. La seconda, come scrive il glottologo Augusto Ancillotti, รจ invece ยซportatrice di una visione tripartita, che vede il divino, come lโumano, articolato secondo il potere della parola magica e creatrice, potere della forza materiale e potere della vitalitร e della feconditร ยป. Il dio della riproduzione รจ lโumbro Vofion, la divinitร del clan. La trinitร รจ costituita quindi da Giove Grabovio, Marte Grabovio e Vofione Grabovio. Una chiara indicazione che giร allโepoca in cui i testi sacriย vennero trascritti sul bronzo, tutti gli dรจi avevano giร assunto i caratteri di Grabo, unโantichissima divinitร iguvina.ย
Giove padre, trasposizione dellโautoritร assoluta del pater familias, รจ il patrono del monte Fisio che domina Iguvium e della stessa Confraternita Atiedia; Mart, corrispondente del Marte latino, รจ lโatavico dio dei guerrieri pastori; Vofione รจ il dio della fertilitร , che assicura la discendenza e quindi la vita futura alla cittร . Tre divinitร che proteggono la tota. Nel rito colpisce la valenza magico-religiosa attribuita al numero: tre sono le porte maggiori, Tessenaca, Trebulana e Vehia, dalle quali si poteva accedere allโantica Iguvium; tre gli enti beneficiari delle offerte; tre anche i tempi del sacrificio. Cosรฌ come ternario รจ il ritmo della danza rituale. E la proclamazione della fine del rito, descritta nella Tavola VI, che doveva essere ripetuta tre volte prima che la fila degli armati potesse finalmente sciogliersi.ย
La nascita della Cosa Pubblica
NellโItalia preromana gli Umbri gettarono le basi della nostra civiltร . Insediamenti in forma di villaggi furono organizzati come comunitร statali. Allโantico popolo dobbiamo la pratica della giustizia e lโistituzione delle prime magistrature civili e religiose. Nacque allora il concetto di patria comune e il territorio iniziรฒ a essere considerato un bene collettivo da difendere. Gli Umbri fissarono per primi alcune norme che sono ancora fondamentali per le societร contemporanee. Come il rispetto del principio della separazione della proprietร privata, governata dalla famiglia patriarcale e la ยซcosa pubblicaยป, patrimonio di tutta la comunitร .ย
La confederazione (deku), delle venti cittร allโinterno di una unitร territoriale molto piรน ampia del proprio paese, serviva a dare spazio ai commerci e agli spostamenti stagionali di quel popolo di pastori. Facilitava la costruzione di nuove strade e regolava la transumanza del bestiame, lungo i tratturi che si intrecciavano tra le valli.ย Quasi tremila anni fa, sui monti dellโAppennino accadeva quindi, in una forma certamente molto diversa, qualcosa di simile a quello che succede oggi con la libera circolazione delle persone e delle merci allโinterno dellโUnione Europea.
Nacquero allora tutta una serie di figure capaci di ordinare la vita pubblica, dal magistrato in capo (uhtur), al suo collega che curava le opere pubbliche (maron). Fino al giudice (meddix) e allโarbiter, il magistrato โequidistanteโ a cui era demandato il compito di risolvere le controversie.
Lโenorme contributo degli Antichi Umbri, il piรน antico dei popoli italici, attraverso i “nipoti” Sabini alla nascita di Roma, รจ testimoniato dalle eccezionali simmetrie che si riscontrano nellโorganizzazione politica e sociale dei due popoli. A partire dai rituali della fondazione dellโUrbe descritti nella leggenda di Romolo e Remo fino alla religione, allโideologia sociale e alle radici piรน profonde del diritto romano. I nomi degli antichi re sabini di Roma sono il simbolo stesso di uno straordinario patrimonio religioso e morale. Da Tito Tazio che regnรฒ per cinque anni insieme a Romolo al grande Numa Pompilio, “padre” riconosciuto della cittร che nei secoli verrร ricordata come caput mundi.ย
Un’ereditร di parole
Le Tavole Eugubine parlano ancora. Ci ricordano il debito culturale che ci lega al piรน antico fra tutti i popoli italici. Trascurato dalla storiografia ufficiale, eppure capace di trasportare fino ai giorni nostri un lascito eccezionale, lontano dalle meraviglie dellโarte etrusca o dalle grandiose opere dei Romani e a lungo misconosciuto, ma comunque ancora integro, a distanza di trenta secoli.ย
Una ereditร preziosa, fatta di parole. Quelle che ancora usiamo nella vita di tutti i giorni. E che dalla oscura lingua dei bronzi eugubini sono passate al latino e poi allโitaliano. Parole della viabilitร โ come via o calle โ; della teologia o del culto โ come Cerere, pontifex oppure pius โ; dellโideologia sociale (vir, familia, curia); della terminologia giuridica (arbiter, auctoritas, stipula). Oppure dellโorganizzazione militare: centuria, fundere, hastatus, cinctus.ย
Suoni vivi e familiari: casa, tetto, vino, cibo, popolo, soglia, vaso, carne, picchio, capro o vitello. Verbi come curare, tacere, portare oppure sancire. E aggettivi che evocano la forza del bronzo: saldo, salvo, scritto, sacroโฆ Radici profonde e intrecci di parole che ci legano per sempre ai segni, a lungo misteriosi, delle Tavole di Gubbio.