Museo paleontologico

Luigi Boldrini
di Pietrafitta

migliaia di fossili di 14 specie del Pleistocene

l’ecosistema di un milione e mezzo di anni fa

la più ricca collezione al mondo di Mammuthus Meridionalis

Prima di entrare

Il Museo Paleontologico di Pietrafitta ospita la collezione di vertebrati fossili più ricca d’Europa. Negli oltre 3000 metri quadrati del museo circolare si possono ammirare i resti interi e parziali di quattordici specie animali vissute nell’era del Pleistocene inferiore. Mammuth, rinoceronti, orsi, scimmie, uccelli, rettili, roditori, insetti e anfibi che abitavano  oltre un milione e mezzo di anni fa il lago, le paludi, le foreste e le praterie di Pietrafitta.

Ciò che rende questo museo speciale è l’abbondanza di fossili ritrovati e il loro ottimo stato di conservazione. Il pezzo più pregiato è la serie di otto scheletri (più o meno completi) di Mammuthus Meridionalis, posizionati esattamente al centro del museo circolare e conservati nella posizione originale in cui furono trovati. Non esiste al mondo una collezione di mammuth così ricca per quantità e qualità.

Il museo ospita anche i resti di altri vertebrati fossili che vivevano nel Bacino di Pietrafitta, come la Panthera Gombaszoegensis, l’Ursus Etruscus e il Pannonictis Nesti. Mentre è stato totalmente ricostruito un esemplare di rinoceronte di taglia media e di corporatura piuttosto robusta con due corna sul naso: lo Stephanorhinus hundsheimensis.

Il giacimento di Pietrafitta è uno dei siti più interessanti in Europa per capire come si è evoluto il Macaca sylvanus florentina, una scimmia senza coda il cui parente più vicino è la Bertuccia. Nel museo potrai trovare i resti dei suoi grandi incisivi, così come le mandibole e gli arti.

Oltre ai Micromammiferi, nelle ligniti di Pietrafitta sono stati trovati oltre 200 resti scheletrici di uccelli tra cui il Cigno Minore e i resti di un grosso roditore simile all’attuale Castoro euroasiatico che costruendo sbarramenti e dighe contribuì a modificare il paesaggio dell’antico Bacino di Tavernelle. 

Si trovano anche i resti di alcuni invertebrati come le conchiglie di molluschi d’acqua dolce appartenenti a generi ancora presenti sulla Terra e ali, uova e tracce di gallerie di insetti fossili ormai estinti. Grazie a questi fossili animali e vegetali, i paleontologi hanno potuto ricostruire l’ecosistema di un milione e mezzo di anni fa. 

I fossili di questi animali sono stati scoperti per la prima volta nel 1966 da Luigi Boldrini, detto Gigino, che lavorava come assistente capoturno nella miniera di lignite a cielo aperto che dal 1958 al 2001 ha alimentato la Centrale termoelettrica di Pietrafitta, nel comune di Piegaro. 

Lo sfruttamento della miniera e il ritrovamento dei reperti fossili sono andati di pari passo grazie alla generosità e allo scrupoloso lavoro di Boldrini che per 25 anni (9 al lavoro e 14 in pensione) ha dedicato il suo tempo libero alla ricerca, al recupero e alla conservazione dei fossili. Ne ha trovati a migliaia tra cui il Megalocero, una specie di cervo gigante il Praemegaceros obscurus, chiamata in suo onore anche “Megaloceros boldrini”.

Dagli anni ‘60 alla metà degli anni ‘80, ogni volta che la macchina escavatrice trovava un blocco di lignite con qualche fossile, Boldrini lo rompeva con accetta e scalpello, isolando i reperti dalle scorie e trasportandoli in tre capannoni, dove li puliva e catalogava uno a uno. Un lavoro difficile che doveva essere fatto velocemente per non interrompere i lavori della miniera. 

Dagli anni ‘90 la Soprintendenza archeologica per l’Umbria, con l’assistenza scientifica dell’Università di Perugia ha adottato un sistema meno artigianale e più efficiente per estrarre i resti di questi grandi mammiferi le cui ossa sono state trovate spesso sovrapposte tra loro o disposte in modo caotico.

Come funziona concretamente questo metodo di estrazione? Prima viene individuato lo scheletro del fossile all’interno del blocco di lignite. Operazione non semplice visto che la lignite è nera e anche i fossili dopo migliaia di anni all’interno della cava assumono quasi lo stesso colore. 

Una volta individuato lo scheletro del fossile all’interno del blocco, i paleontologi tolgono la lignite da tutta la superficie della carcassa dell’animale. Il fossile viene pulito, ricoperto di garze nei punti più sensibili e fotografato per documentare com’è stato ritrovato. Infine i resti dell’animale vengono ricoperti con carta e carta stagnola. 

 Ma come si estrae ciascun osso dal blocco di lignite? Anche solo una operazione sbagliata rischierebbe compromettere lo scheletro. Semplice, il fossile viene estratto in blocco. Per conservare velocemente il reperto e non interrompere i lavori della miniera, ogni blocco è stato portato via dalla miniera e poi capovolto. Come? Prima si crea una trincea intorno al blocco di lignite che contiene la carcassa e il tutto viene ricoperto da una gabbia di ferro su cui viene colato il cemento. Una volta induritosi il cemento, i blocchi vengono capovolti grazie a una lamina di ferro e si consolida la parte delle ossa che non è mai stata esposta all’esterno. 

 Questi blocchi di cemento capovolti funzionano come delle “culle” dei giganteschi fossili, permettendo ai visitatori del museo di vedere le ossa meglio conservate, come se fosse il negativo di una fotografia. 

Lo sapevi che

Il museo è definito “paleontologico” perché la paleontologia è lo studio delle piante e degli animali vissuti sulla Terra in epoche geologiche passate attraverso ciò che resta di questi esseri viventi: i fossili. 

Il Pleistocene inferiore è una epoca geologica che corrisponde a un milione e mezzo di anni fa, quando sulla Terra c’erano l’Homo habilis e l’Homo erectus. Oggi noi viviamo nell’era successiva, quella dell’Olocene, iniziata circa dodicimila anni fa. 

Il primo resto fossile trovato da Luigi Boldrini nel 1966 era una tibia di Leptobos, un mammifero artiodattile ormai estinto, simile come forma a un bove, più magro

Il Mammuthus meridionalis pesava circa 10 tonnellate.e poteva arrivare a sei metri di lunghezza, mentre il suo garrese (il punto più alto del dorso) fino a quattro metri di altezza. 

I fossili provengono da un giacimento di lignite spesso nove metri formatosi dai sedimenti organici di resti vegetali che si sono depositati su un bacino d’acqua trasformatosi col tempo in carbon fossile. 

Nel piano inferiore del museo paleontologico c’è un laboratorio dove vengono conservati, analizzati e preservati migliaia di fossili. Una volta restaurati saranno ospitati al piano di sopra. 

Pietrafitta è una frazione di Piegaro che fa parte assieme ad altri tre borghi (Città della Pieve, Panicale, Paciano) delle Terre del Perugino. L’itinerario naturalistico e culturale alla scoperta dei luoghi che hanno ispirato il famoso pittore rinascimentale Pietro Vannucci, detto il Perugino, tra percorsi di trekking e musei.

Museo Paleontologico Luigi Boldrini di Pietrafitta

Il tour del Museo paleontologico

Pin It on Pinterest

Condividi Conoscenza!