La cintura delle dieci necropoli di Iguvium
Federico Fioravanti
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  • Almeno dieci necropoli circondavano Iguvium lungo il principale percorso di lungovalle che ancora cinge i confini della  moderna Gubbio
  • La necropoli di San Biagio, la più antica e importante di Iguvium, ospita circa settanta tombe di epoche differenti e di diversa tipologia. 
  • Durante i lavori di pavimentazione di via dei Consoli a Gubbio è riemerso un sepolcreto antichissimo, che risale a 1200 anni prima di Cristo, alla fine dell’Età del Bronzo

La cintura delle dieci necropoli

Sono nomi noti agli eugubini di oggi: San Benedetto, Fontevole e Fonte Arcano, San Biagio, Pomponio Grecino, Madonna del Prato, via Perugina, Vittorina, Zappacenere e San Felicissimo. Dieci necropoli che circondavano la antica Iguvium. Sepolcri di tutti i tipi che raccontano secoli di storia. E che negli ultimi anni hanno portato a eccezionali scoperte archeologiche. Come la conferma che nella Iguvium del II secolo dopo Cristo era ancora vivo il culto di Iside, la dea egizia della maternità e della fertilità, di solito alimentato da processioni ricche e festose.

Lo testimonia il ritrovamento di un piccolo sistro di bronzo, utile ad allontanare influenze malvagie, che accompagnò l’ultimo viaggio di una donna nella necropoli di via Vittorina. Nell’area circostante i lavori condotti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria hanno portato alla luce 237 tombe, sia di età repubblicana (tra il III e il I secolo a.C.) che di età imperiale (tra il I e il II secolo dopo Cristo). I morti venivano inumati con bende strette o fasciati da un sudario e poi deposti in sepolcri “alla cappuccina”, su delle tegole accostate.

Altre tegole, poggiate le une a mo’ di triangolo e integrate da coppi e pietre, coprivano i cadaveri. In alcuni casi i morti venivano cremati. Lo testimoniano alcuni sepolcri, chiamati a ziro, dal nome dei vasi di terracotta che ospitavano le ceneri, al modo degli Etruschi. Proprio alla Vittorina gli scavi hanno portato alla luce lo straordinario cratere attico a figure rosse, ora esposto nell’antiquarium: da un lato dell’oggetto emerge l’elegante figura di Borea che rapisce Orizia, dall’altro spuntano figure di giovani nudi.

Nella stessa zona della necropoli romana, nel 1208, San Francesco ammansì con il segno della croce e le parole, il lupo che terrorizzava Gubbio. L’episodio richiama la leggenda etrusca, riportata da Plinio il Vecchio (Nat. Hist. II,140) di Porsenna, re di Chiusi che con l’aiuto dei fulmini sconfisse il mostrum Uoltam che distruggeva le campagne intorno a Volsinii.

Una finta porta scolpita a bassorilievo, a rimarcare il mistero del passaggio dalla vita terrena all’aldilà, risalente all’età tardo repubblicana è stata trovata in via Perugina, l’attuale, principale punto d’ingresso stradale della città moderna. 

I tesori ritrovati nelle necropoli

A nord dell’abitato, nella necropoli di San Benedetto, dagli scavi sono spuntate  raffigurazioni di scene legate al culto di Dioniso. E in via Leonardo da Vinci, non lontano dal teatro Romano, un antico sepolcro del VI secolo a.C. ha restituito la cosiddetta “tomba del carro” con resti di cerchioni in ferro usati nei mezzi di trasporto da parata. 

Un kline, prezioso letto di bronzo del II secolo a.C. è riemerso nel nucleo più antico della necropoli di Fontenevole, quello più vicino alla città, in una prestigiosa tomba risalente alla prima metà del II secolo a.C. Una spalliera della testata mostra una testa di mulo finemente cesellata. Un’altra rivela una testa di Artemide con le ciocche di capelli divise a metà. 

La necropoli di San Biagio, la più antica e importante di Iguvium, ospita circa settanta tombe di epoche differenti e di diversa tipologia. Tre grandi circoli, delimitati da lastre di arenaria squadrate e verticali, raccontano i metodi di sepoltura più antichi, quelli del VII e del VI secolo a.C. I morti, dello stesso gruppo familiare, venivano deposti in fosse, sopra uno strato di breccione e accompagnati nel loro ultimo viaggio da piccoli oggetti in ricordo della vita perduta: gocce d’ambra, manufatti in osso lavorato, olle, piattelli e ciotole d’impasto.

Duecento anni dopo (IV secolo a.C.) i sepolcri, più volte abbandonati e distrutti furono occupati di nuovo da molte altre tombe, singole, a fossa e “alla cappuccina”. Sette tombe, riservate ad altrettanti bambini, hanno svelato ricchi corredi e preziosi oggetti di importazione.

Un’altra necropoli è riemersa durante i lavori di pavimentazione di via dei Consoli, l’affascinante arteria medievale che oggi dal quartiere di San Martino porta alla pensile e scenografica Piazza Grande. È un sepolcreto antichissimo, che risale a 1200 anni prima di Cristo, alla fine dell’Età del Bronzo. Le ossa bruciate dei defunti sono state trovate raccolte in vasi di ceramica d’impasto bruno e liscio, coperti da ciotole e disposti su più livelli, in piccole e strette fosse, rincalzate da scaglie di pietra e sommerse da uno strato di terra scurissima e argillosa.

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