Le iscrizioni latine di Amelia
Lorenzo Muzzi
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La documentazione epigrafica amerina rappresenta un caso eccezionale rispetto alle altre città dell’Umbria.

Nel volume undicesimo del Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL), quello in cui sono raccolte le iscrizioni romane dell’Umbria, sono state rubricate come autentiche da Eugenne Bormann più di 220 iscrizioni. A queste col tempo continuano ad aggiungersene altre, frutto di ritrovamenti archeologici o scoperte all’interno di edizioni cinquecentine e secentine che ogni tanto riemergono dalle profondità dei fondi d’archivio.

È il caso del manoscritto B. V. 9. conservato nella Biblioteca Iacobilli di Foligno e redatto dal protonotario apostolico Ludovico Iacobilli insieme ad altri copisti anonimi intorno al 1660. Si tratta di una silloge epigrafica, cioè di una raccolta di testi epigrafici latini di alcuni centri umbri antichi, quelli che nella divisione augustea del territorio italico facevano parte della regio VI.

Nel capitolo rubricato sotto la voce Ameriae (Amelia) si trovano elencate ben 219 iscrizioni: di queste, 29 (13%) risultano reperibili, cioè si conosce la loro attuale ubicazione o presso musei o presso privati, 135 (62%) irreperibili, cioè attualmente disperse, ma note agli studiosi passati e considerate autentiche, 55 (25%) inedite, cioè finora mai menzionate e/o pubblicate.

Alcune iscrizioni sono state copiate più di una volta da mani diversi, il che dà luogo a versioni alternative dello stesso testo. Tra quelle reperibili, 6 sono state trascritte due volte; tra quelle irreperibili, 16 due volte e 4 tre volte; nessun doppio esemplare tra quelle inedite. Nonostante questi “doppioni”, il numero rimane molto alto: 189 iscrizioni di cui 55 inedite!

È da questo dato incoraggiante che bisogna partire per localizzare e recuperare quelle smarrite, spesso contenute in palazzi o proprietà private (soprattutto nobiliari) passate di mano nel corso dei secoli.

A tal proposito, lo scrivente ha realizzato una carta tematica storica (GIS storico) in cui sono state collocate le iscrizioni secondo la loro ubicazione nel 1600, cioè nel secolo a cui risale il manoscritto. Ciò è stato possibile attraverso l’identificazione dei luoghi e delle abitazioni secentesche con i loro corrispettivi moderni, operazione non facile e per la quale desidero ringraziare ancora una volta il professor Enzo Lucci. Questo strumento potrà permettere in futuro alla Soprintendenza di avere un punto di partenza e una bussola da cui muovere per eventuali ricerche, fermo restando l’impossibilità in alcuni casi di ricostruire con buona approssimazione il luogo indicato nel manoscritto.

Non mancano iscrizioni dedicatorie come quella menzionante un Titus Roscius Autuma, quattuorviro del municipio romano di Ameria per la seconda volta, che dedica un thesaurus con un peso di settantacinque libre, quella in onore della dea Fortuna da parte di Curiatus Cusanus per una qualche grazia ricevuta e quella di un personaggio non meglio identificato di cui prima vengono ricordati, come in un curriculum, tutti i pubblici impieghi rivestiti in vita (responsabile dei rifornimenti di grano della città, responsabile del calendario pubblico del municipio di Amelia, patrono dei seviri augustali, prefetto del collegio dei centonarii, degli scabillarii e dei fabrii tignarii, rispettivamente uomini preposti a domare gli incendi, suonatori di flauto e falegnami) e poi la volontà, una volta morto, di far organizzare a sue spese banchetti pubblici per due volte e, in occasione della ricorrenza del suo compleanno, mangiare e bere gratis finanziando il tutto con la sua eredità (si evince che doveva lasciare un bel patrimonio!).

La tipologia prevalente è quella funeraria, come quella di Bettuedia Felicla che fa incidere questo testo per ricordare il marito probissimo Gaius Terentius Hilarianus, seviro della città, che visse cinquantasei anni, undici mesi e quattro giorni; quella di Felix, schiavo pubblico del municipio di Ameria, ricordato dalla moglie Clusinatia Auge con la formula bene merenti, cioè «meritevole»; quella del liberto augusteo Titus Flavius Isidorus che fece scolpire la dedica per se stesso e la moglie Flavia Hagne e degli schiavi domestici della famiglia imperiale Flavia Protogenia e Claudius Callistianus Eudemoni per i loro figli, figlie e posteri (il termine che si trova nell’iscrizione è vernae, che identifica lo schiavo frutto dell’unione di due schiavi domestici e quindi, di conseguenza, schiavo fin dalla nascita).

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